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L’associazione bolognese Impronta Leggera, insieme alla Regione Emilia Romagna, ha creato il progetto “Green à Porter”: sostenibilità, coworking, master e produzioni a chilometro zero. Per far entrare i giovani stilisti nella green economy di Giuliano Di Caro
Non è poi così ingessato e tradizionalista, il mondo della moda italiana. Qualche spazio di manovra per idee alternative c’è. È il caso dell’associazione bolognese Impronta Leggera, che nel solco della green economy e insieme alla Regione Emilia Romagna ha creato il progetto “Green à Porter”: moda e sostenibilità, coworking, produzioni a chilometro zero. Insomma: unire i giovani talenti del territorio, per i quali mettere in piedi un’impresa è assai complicato, intorno a spazi condivisi e a una logica di rete nell’organizzazione degli eventi. Il risultato si è visto nelle prime sfilate dei capi realizzati in queste realtà, che si sono svolte prima al Teatro San Martino di Bologna e poi all’atelier Montevergini di Palermo, poiché il modello emiliano è pensato proprio per essere replicabile in altre regioni d’Italia.
Spin-off dell’avventura: la creazione di una scuola di Eco-Fashion. È l’idea a cui stanno lavorando una decina di donne emiliane che nella vita fanno mestieri assai diversi tra loro, dall’avvocatessa alla scrittrice, dall’impiegata statale alla dottoressa, ma accomunate dalla passione per gli abiti e l’ecologia. Si tratta di un vero e proprio master «rivolto ai giovani che hanno studiato moda e design». L’idea è coinvolgere, in qualità di insegnanti, stilisti che già lavorano nella direzione della moda sostenibile, da Silvia Pizzoli a Carmina Campus di Fendi.
Primo nel suo genere in Italia, «il progetto è ancora alle fasi iniziali e stiamo dialogando sia con la Regione che con alcuni marchi di moda già presenti sul mercato con linee ecologiche», spiega Arianna, una delle animatrici del progetto. «Al Teatro San Martino abbiamo incontrato delle giovani stiliste che hanno creato capi bellissimi con stock di tessuti destinati al macero. Riciclo e riuso: vogliamo intercettare la creatività dei giovani stilisti e la loro sensibilità eco e offrire loro non soltanto un corso di studi specifico, ma anche un evento annuale in cui mettere in scena le proprie creazioni. Una piattaforma/vetrina per rendere la vita più facile ai giovani che vivono, creano e lavorano nella precarietà». I tempi? «Il primo evento sarà a giugno e l'avvio del master, di un anno e a numero chiuso, avverrà entro il mese di ottobre».
Spin-off dell’avventura: la creazione di una scuola di Eco-Fashion. È l’idea a cui stanno lavorando una decina di donne emiliane che nella vita fanno mestieri assai diversi tra loro, dall’avvocatessa alla scrittrice, dall’impiegata statale alla dottoressa, ma accomunate dalla passione per gli abiti e l’ecologia. Si tratta di un vero e proprio master «rivolto ai giovani che hanno studiato moda e design». L’idea è coinvolgere, in qualità di insegnanti, stilisti che già lavorano nella direzione della moda sostenibile, da Silvia Pizzoli a Carmina Campus di Fendi.
Primo nel suo genere in Italia, «il progetto è ancora alle fasi iniziali e stiamo dialogando sia con la Regione che con alcuni marchi di moda già presenti sul mercato con linee ecologiche», spiega Arianna, una delle animatrici del progetto. «Al Teatro San Martino abbiamo incontrato delle giovani stiliste che hanno creato capi bellissimi con stock di tessuti destinati al macero. Riciclo e riuso: vogliamo intercettare la creatività dei giovani stilisti e la loro sensibilità eco e offrire loro non soltanto un corso di studi specifico, ma anche un evento annuale in cui mettere in scena le proprie creazioni. Una piattaforma/vetrina per rendere la vita più facile ai giovani che vivono, creano e lavorano nella precarietà». I tempi? «Il primo evento sarà a giugno e l'avvio del master, di un anno e a numero chiuso, avverrà entro il mese di ottobre».
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